martedì 21 settembre 2010

POESIA NELLA VOCE E NELLA MUSICA: GIOVANNI NUTI, MAESTRO DI SENTIMENTO.

A cura di Donatella Lavizzari - donatella@immaginienote.it
Est Area Magazine - settembre 2010 - www.estarea.it

Cantautore, compositore e musicista, già collaboratore di artisti di grande rilievo quali Milva, Teresa Salgueiro, Enrico Ruggeri, Roberto Vecchioni, Mango, Enzo Avitabile e Simone Cristicchi, Giovanni Nuti è dotato di una speciale duttilità vocale ed artistica. Premio della critica per le nuove proposte al Festival di Sanremo nel 1996, nel 2000 firma il ritorno di Milva in Italia con l’album “Milva canta Merini” la poetessa con cui instaura una lunga e feconda collaborazione. L'esperienza, la professionalità, l'innato talento musicale gli hanno consentito di elaborare progetti artistici di spessore, frutto dell'aggregazione misurata di musiche, suoni e parole. Ed è proprio un incantevole groviglio di emozioni quello che Giovanni ci regala durante le sue performance: diviene diapason vivente, la musica lo attraversa, gli vibra nelle corde vocali e nel cuore.



Ciao Giovanni, come affermava Natalia Ginzburg “le persone si annusano e si riconoscono anche in una caverna buia”, é ciò che è accaduto con la poetessa Merini?
Assolutamente sì. Questa cosa mi capita sempre, io “sento” una persona ancora prima di conoscerla. E’ una questione di energie, di vibrazioni. Quando ho incontrato la Merini ero sicuro che le nostre vibrazioni erano simili, a volte, quasi identiche.

Il vostro connubio artistico è stato un meraviglioso scambio di energie creative. Si può definire il musicare le rime della Merini, una sorta di atto istintuale?
Sì, è stato un po’ come accade nel jazz: pura improvvisazione. La Merini scriveva le sue poesie di getto, non sapeva nemmeno cosa mi aveva dettato ed io, allo stesso modo, mi mettevo al pianoforte e le musicavo d’istinto. C’era una connessione, una fusione tra la sua poesia e la mia musica. Ogni volta che le facevo ascoltare una poesia musicata, Alda rimaneva meravigliata e mi diceva: “Sai, non sapevo come dirtelo, ma era proprio la musica che io sentivo!”

La poetica sociale di Alda Merini, nel senso dell’incarnare le voci dei più deboli è simile a quella di De Andrè?
Sì, ma non solo, Alda ha dato voce a tutti. Tra i suoi amici c’erano sia barboni che ricchi. Non amava fare distinzioni, un po’ come Madre Teresa. Anch’io faccio fatica a fare distinzioni, siamo tutti uguali ed il più delle volte, chi non possiede nulla è più ricco di chi ha un regno. Questa è la chiave di tutto. Lucia Bosé, un’altra persona straordinaria con cui sto lavorando, mi ha detto: “ Ho avuto tutto nella vita però ho capito che la vera felicità è non possedere nulla.”

Parliamo di Rasoi di seta. Ho letto che questa raccolta é nata anche dalla disperazione nel vedere che la cultura non mette sane radici, è corretto?
Sono tanti anni che porto avanti un discorso musicale di un certo tipo ed ho incontrato grandi difficoltà perché mi dicevano: “La gente non vuole questo, non compra queste cose”. Ma loro non hanno capito che l’arte ha una propria esigenza ed il successo non è solo fare soldi o avere riconoscimenti da tutti.

Un pensare ironico, come sosteneva Hegel, è l'unica arma di salvazione di ogni intelligenza ben munita?
Assolutamente sì, è una grande ricchezza. Con una risata si possono risolvere cose incredibili. La Merini aveva momenti di rabbia ma non c’è stato mai un giorno in cui non passasse ad una risata, ad una barzelletta, alla presa in giro di se stessa e degli altri. Perché questo è il gioco della vita e bisogna saper giocare. La vita è gioia.

“Una piccola ape furibonda” è un autoritratto della Merini e anche il recital che stai rappresentando, come stai vivendo questa esperienza?
Per me è quasi un rituale. Ogni volta che c’è un concerto è un po’ come se andassi a casa sua, se la chiamassi da dov’è ora. Ed infatti la chiamo e le dico: “Guarda che andiamo in scena!”. Lei amava molto il palcoscenico. E’ fantastico dare vita alle sue parole ed ultimamente mi sono ritrovato a cantare al femminile come se fosse lei a farlo. La gente si emoziona moltissimo.

C'è un ricordo a cui sei legato particolarmente?
Le sue telefonate. Ogni giorno c’era una telefonata con una canzone che lei mi dedicava. Mi dispiace di non aver avuto il tempo di farle incidere i brani che lei mi cantava. Sarebbe stato meraviglioso averli ora.

Credo che la musica sia un potente strumento di comunicazione. La stessa Merini, in una delle ultime poesie che ti ha dettato, si rivolge ai musicisti esortandoli a non abbandonare mai la musica perché questa cambierà il mondo. Cosa ne pensi?
E’ l’ultima poesia che mi ha dettato in ospedale ed è rivolta ai miei musicisti che lei amava molto. Li chiamava “la mia orchestra”. Diceva: “La musica non vi deluderà mai e quindi portate avanti questo linguaggio divino”. Alda aveva la musica nel cuore.

Cosa è la musica per Giovanni Nuti?
E’ la mia casa. E’ come ritornare a casa.

C'è una canzone verso la quale nutri un affetto particolare?
L’albatros perché non potevo uscire dalla casa di Alda senza suonarla ed ogni volta lei piangeva. Era un pianto liberatorio perché quando l’ascoltò per la prima volta mi disse che era la musica che “sentiva” in manicomio e che io ero riuscito a concretizzare: era la musica che aveva dentro.

Con quali artisti non hai mai collaborato e ti piacerebbe invece farlo?
Mi sarebbe piaciuto con Giuni Russo, che aveva una voce divina e poi mi piacerebbe con Franco Battiato.

Quali sono i prossimi progetti?
Voglio portare le nostre canzoni in Sudamerica. Lucia Bosé sta traducendo le poesie della Merini: i testi in lingua spagnola hanno acquisito dei suoni bellissimi, sono pieni di passione e di gioia, così come lo era Alda.

GRAZIE GIOVANNI

www.giovanninuti.com

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